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«Con uno solo posso tornare a fare una vita più dignitosa di quella che stiamo facendo adesso»

Il 20enne Andrea Pancallo, di Vercelli, vende un rene, sanissimo, come lui. Per aiutare il padre Domenico, che invece è malato di Sla da sei anni.

Passano mesi, anni e, a intervalli regolari, in Italia si alza la voce disperata dei malati di Sla o di qualcuno dei loro parenti, completamente soli a gestire un’assistenza a persone costrette a letto per sempre. In novembre si è superato il limite del vivere civile di un paese che si ritiene uno stato moderno, con uno sciopero della fame di un gruppo di malati di Sla, che chiedevano ascolto da parte di un ministero della Salute che non vede, non sente e non parla. Malati gravissimi che rinunciavano ad alimentarsi per cercare un po’ di attenzione. L’hanno ottenuta: un incontro c’è stato, seguito da uno scambio di lettere con il viceministro Fazio. Poi è tornato il silenzio, più forte di prima, visto che Salvatore Usala, il malato che guidò quella protesta estrema, quasi ci lasciava la pelle. E ora Andrea mette sul tavolo il suo rene da 20enne, in cambio di una vita un po’ più dignitosa.

«Era stato chiesto al viceministro di attivare da subito i Lea (livelli essenziali di assistenza) e di riconoscere un aiuto economico alle famiglie non abbienti – spiega Simonetta Tortora di Viva la Vita, l’associazione che si fa carico dei diritti dei malati di Sla -. Non ha più risposto nessuno».

«SIAMO SOLI» – «Ho deciso di vendere un rene perché ci sentiamo abbandonati dallo Stato e non abbiamo le possibilità economiche per permetterci una badante che allevi le nostre sofferenze». La sclerosi laterale amiotrofica, meglio conosciuta con la sigla Sla, patologia a oggi inguaribile e devastante, è entrata nella vita di Andrea Pangallo sei anni fa: «Papà si è ammalato nel 2004, all’età di 44 anni, e in poco tempo la malattia lo ha reso incapace di essere autonomo in tutto e per tutto: è completamente immobile, non comunica più neanche con gli occhi, è attaccato a un respiratore e nutrito per via artificiale. Ci siamo trovati da un giorno all’altro catapultati in una realtà di dolore e di sofferenza che non ci ha risparmiato nemmeno un minuto, e da allora siamo soli».

A 15 ANNI, CHE VITA È? – Andrea ha vent’anni e già dall’età di quindici ha assunto il ruolo di capo famiglia: ha dovuto rinunciare a tutti i suoi sogni. Racconta di aver sospeso gli studi dopo aver conseguito la qualifica triennale di operatore elettrico ottenuta con grossi sacrifici: studiando, lavorando e assistendo il padre, il tutto nello stesso tempo. Si alzava alle cinque di mattina per aprire il bar del padre, alle otto correva a scuola e all’una del pomeriggio ancora al lavoro fino alla sera, per poi passare una nottata pressoché insonne accanto al padre. «A quindici anni ho visto cose che non avrei dovuto e voluto vedere, ho vissuto attimi terrificanti che non avrei voluto vivere, ma grazie alla forza che mi hanno trasmesso i miei genitori ho saputo gestire ogni emozione e trasformare l’odio verso questa malattia in amore e devozione verso una delle due uniche persone a cui devo la mia vita, mio padre – continua Andrea. – Però i miei sforzi ed il mio lavoro non bastano, perché la stanchezza e il carico assistenziale che richiede mio padre sta annientando mia madre, ed io questo non lo posso permettere.»

L’ASSISTENZA AL MALATO – Domenico la notte è accudito da Andrea, il giorno gli dà il cambio la madre Maria la quale ha totalmente rinunciato alla sua vita e non esce più da casa. Le istituzioni locali offrono poco e nulla, solo un’ora al mattino per le pulizie alla persona e tre accessi settimanali di mezzora l’uno di fisioterapia, ottenuti dopo feroci lotte con la Asl. Il cambio cannula e peg – manovre ordinarie per un malato nelle condizioni di Domenico che vengono effettuate periodicamente – avvengono in ospedale come in gran parte della Regione Piemonte; operazioni queste che potrebbero essere invece quasi sempre effettuate a domicilio, evitando inutili, costosi e sofferti trasporti in ambulanza.

«NON VOGLIO PERDERE ANCHE MIA MADRE» – «Mia madre si sta lasciando andare; è stanca, non ce la fa più e non posso permettere che la Sla porti via anche lei – continua Andrea . Sentirmi dire “Vorrei potermi chiudere a chiave in quella stanza e lasciarmi morire insieme a lui” mi distrugge e non posso permettere che tutto questo accada, non posso permettere che mia madre a neanche cinquant’anni debba aver paura di andare a dormire perché è talmente stanca da pensare di non svegliarsi più!».

«CON UN RENE SOLO LA MIA VITA PUÒ MIGLIORARE» – Da qui l’unica soluzione possibile nella testa di un ragazzo che è stato abituato dalla vita a cavarsela da solo e ad essere inascoltato da chi doveva farlo: «Ho deciso di vendermi un rene, potrò comunque vivere una vita regolare, salvare la vita a qualcuno e soprattutto assicurare un’assistenza a papà e un’angolino di vita anche a mamma che ne ha ogni diritto».

«MIGLIAIA DI FAMIGLIE NELLA STESSA CONDIZIONE» – Mauro Pichezzi, presidente dell’associazione Viva la Vita Onlus, segue da anni queste vicende: «Siamo in un paese in cui vivere con la Sla si trasforma in una tragedia familiare. Le Istituzioni devono intervenire con urgenza per affrontare un problema che è già da mesi all’attenzione del Ministro della Salute e che finora non ha avuto alcuna risposta concreta. Lasciare che le cose vadano avanti così per migliaia di famiglie in Italia vuol dire ignorare del tutto il valore della vita umana – continua Pichezzi -. Qui non si tratta di polemica politica, si tratta di intervenire su un’emergenza che sta assumendo i tratti di una catastrofe: se i malati di Sla vogliono vivere non trovano ragioni per farlo in queste disperate condizioni. La civiltà del nostro Paese si dimostra proprio in queste occasioni e chiediamo con forza al Governo e alle Regioni di intervenire con un vero sostegno economico al più presto per salvare i malati e le loro famiglie». I malati di Sla, anche se sperano ancora di essere smentiti, ci credono poco e si stanno organizzato per fare un presidio a Roma, davanti a qualche sede istituzionale: una sfilata di persone paralizzate nei letti per mostrare a tutti che il nostro non è ancora un paese civile.

fonte ilcorriere.it

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